L'esploratore malinconico
Franco Basile
L'acqua riflette copie del cielo e della riva. Il fiume si dilunga verso punti sconosciuti per un viaggio lento che si ispira ai diversi effetti della luce. E un mondo con gli occhi tristi quello raccontato da Luigi Zecchi, una silente fantasia sembra animarlo, al punto che nelle sue composizioni c'è la complessa sobrietà di chi osserva la vita da angolazioni appartate, comunque capaci di escursioni in territori dove una solitudine fiabesca s'intreccia a sogni velati di malinconia. L'esploratore della porta accanto, recita il titolo della rassegna, accattivante richiamo a un intimo rapporto con una realtà pensata a pochi passi dall'uscio di casa. Non è proprio così: la simbologia, si sa, annulla qualsiasi tipo di distanza così come il silenzio non ha particolari gradazioni acustiche. La segreta lingua delle cose mute, ricordava Baudelaire, una segretezza entro la quale Zecchi si immerge fantasticando al di là della semplice ferialità, attorno a visioni che possono essere colte nella pianura che circonda la sua abitazione, nelle prime balze dell'Appennino, sfogliando appunti immagazzinati assieme ai ricordi. Zecchi vive in un tratto della Bassa bolognese. Non deve far altro che imboccare un sentiero tra i campi per abbracciare porzioni di terra dove lo svolgersi delle cose è sottoscritto da diafani effetti di luce, oppure contrassegnate da presenze naturali che si ergono simili a totem legati a temi onirici. La pittura di Zecchi è fatta di segnali, di ombre che appaiono nella meridiana dei propri giorni, di alberi per lo più spogli sotto i quali, romantici viaggiatori, piccoli uomini si misurano con la natura.